Nell’ultimo ventennio la ricerca sull’Autismo ha compiuto straordinari passi in avanti nella definizione del disturbo, nella diagnosi precoce, nelle conoscenze genetiche e in quelle neurobiologiche. Discutere del trattamento per l’Autismo, tuttavia, ancora oggi è cosa quanto mai complessa e piena di possibili rischi. Questo succede per le tante ragioni che saranno esposte di seguito e che ci obbligano, prima ancora di parlare di trattamento, a fare alcune precisazioni. Questo aiuterà a meglio indirizzare chi legge, nell’ottica di evitare il generarsi di facili illusioni e al contempo di evitare di infrangere giuste aspettative.
L’Autismo si definisce “una sindrome comportamentale, determinata da un’alterazione neurobiologica su base genetica”. I dati più recenti nella ricerca, suggeriscono che nel 50% dei casi di Autismo le alterazioni a carico del genoma sono individuabili, cioè in 5 casi su 10 esistono alterazioni genetiche anche se non sempre individuabili attraverso test genetici standard. Inoltre, tali alterazioni sono molto diverse tra loro, questo conferma quanto da sempre sappiamo cioè che non esiste un “Autismo” bensì numerose condizioni eziopatogenetiche (estremamente differenti), che si esprimono in maniera fenotipicamente simile e a cui noi diamo un nome comune e unico. Tutto ciò implica che vengono diagnosticati come Autistici individui con alterazioni genetiche microscopiche e/o invisibili allo stesso modo di individui che hanno alterazioni ben più ampie e manifeste. In termini più pratici, seppur riduttivi e semplicistici, chiamiamo Autistica una persona che non parla e forse non parlerà mai, che farà fatica ad apprendere concetti basilari del vivere in una comunità e che sarà soltanto parzialmente autonoma, allo stesso modo attraverso il quale etichettiamo Autistica una persona che parla, può conversare, ragionare, emozionarsi, riflettere, cambiare nel tempo i propri atteggiamenti verso l’ambiente, lavorare e forse avere una propria famiglia.
Una forte confusione che questo approccio diagnostico produce nelle famiglie, e non di rado anche negli addetti ai lavori, risiede nel ritenere che un Autismo equivalga all’altro, senza considerare minimamente la variabilità individuale. Ciò crea nei genitori e in generale nelle persone comuni la sensazione forte e la speranza che una cura, plausibilmente di natura medica (e non solo), possa esistere permettendo a tutti gli individui con Autismo di fare dei rapidi passi da un estremo all’altro dello “stesso e identico spettro”. Questo atteggiamento è sbagliato e quanto mai fuorviante ed ha portato, e ancora oggi porta, ad affidarsi a cure e trattamenti di varia natura che promettono miglioramenti miracolosi senza aver mai offerto alcuna prova di efficacia statisticamente rilevante.
Certo è ancor più grave ritenere, al contrario, che certe caratteristiche della persona Autistica, proprio perché di natura genetica, siano immutabili nel corso della vita. Infatti, come in tutte le patologie ad espressività variabile (cioè il modo di manifestarsi dei sintomi), ci possono essere cambiamenti migliorativi significativi se si interviene in maniera adeguata attraverso l’analisi e la modifica di specifiche variabili ambientali. Dove per ambientale si intende tutto ciò che riguarda la persona nella sua totalità e quindi tutto ciò che permette di modificare i comportamenti umani, dall’azione educativa della famiglia e della scuola ai trattamenti basati sui più raffinati programmi di analisi e modifica del comportamento, dalle politiche sociali alla attivazione di risorse legate all’ambiente socio-lavorativo prossimale.
Tutto questo ci porta alla prima e importante affermazione: l’Autismo richiede un buon “intervento” prima ancora di un eccezionale trattamento, in secondo luogo sarebbe auspicabile per una famiglia chiedere cosa aspettarsi da un intervento efficace per il “proprio figlio con Autismo”, e non chiedere interventi per l’Autismo.
Dunque, un buon intervento si fonda su una valutazione accurata caso-specifica e “deve” portare ad arricchire la diagnosi di Autismo con altri elementi clinici e psicopatologici, che servono a meglio definire il tipo di Autismo che si sta affrontando, i livelli di funzionamento rispetto ai sintomi e alle tappe evolutive, per dare indicazioni allo staff e ai caregiver sulle possibili traiettorie di sviluppo e sulle priorità dell’intervento a breve, medio e lungo termine. La presa in carico dovrà essere effettuata da parte di un’Equipe specializzata, sempre aggiornata e in grado di fornire indicazioni, su base scientifica, dei migliori interventi disponibili per il singolo bambino.
L’intervento pertanto sarà efficace nella misura in cui è capace di portare ciascun individuo ad ottenere un’esistenza che si avvicina il più possibile a quella “normale”. Il principio della normalizzazione intende rendere disponibili a tutte le persone con autismo “progetti di vita” e condizioni del vivere quotidiano che sono il più vicino possibili alle normali circostanze di vita reale nella Comunità. Cambia così anche la prospettiva del trattamento stesso, che risulta “efficace” nella misura in cui è in grado di colmare il gap tra la disabilità dell’individuo e le richieste provenienti dalla società. La riduzione del gap è direttamente proporzionale alle potenzialità del soggetto: maggiori sono le potenzialità e più alta è la riduzione. Ciò significa che una persona con Autismo che presenta dei sintomi lievi e un livello di funzionamento “alto” (cioè non presenta ritardo dello sviluppo) dovrà ridurre un piccolo gap e avrà molte più possibilità di vivere una vita “normale”; una persona con gravi sintomi autistici e un livello di funzionamento intellettivo grave/profondo non colmerà mai questo gap ma potrà condurre una vita quanto più vicina a quella “normale” attraverso un aiuto costante e in situazioni di vita protette.
Altro aspetto inamovibile di un buon intervento e quindi di una buona presa in carico è la precocità. Il concetto di precocità riferito agli interventi è da intendersi in una duplice accezione. Un intervento può dirsi precoce quando è rivolto a soggetti a rischio di sviluppare il disturbo, per i quali non è ancora stata formulata la diagnosi perché gli elementi caratterizzanti il quadro clinico non hanno un’espressività tale da soddisfare i criteri diagnostici. In questo caso, l’obiettivo dell’intervento precoce è modificare la storia naturale del disturbo, migliorandone la prognosi. Un secondo significato di intervento precoce è quello di un intervento tempestivo rivolto a soggetti che hanno sviluppato il disturbo e per i quali è già stata formulata la diagnosi. In questo caso la precocità dell’intervento, intesa come tempestività, si riferisce alla caratteristica temporale dell’erogazione dell’intervento, ma non lo distingue dagli interventi non precoci né per la popolazione cui è indirizzato (soggetti con disturbo diagnosticato) né per l’obiettivo perseguito (fornire un trattamento). Anche le Linee Guida n.21 dell’Istituto Superiore di Sanità sul trattamento dell’Autismo raccogliendo i dati della letteratura internazionale raccomandano che gli interventi rivolti a soggetti con disturbi dello spettro autistico siano effettuati in modo tempestivo, “non appena cioè gli specialisti abbiano raggiunto una ragionevole presunzione clinica riguardo alla presenza del disturbo stesso, e tenendo conto del fatto che alcuni tipi di intervento sono più appropriati in specifici momenti dello sviluppo”.
Numerosi studi hanno rilevato che l’intervento precoce sui sintomi comportamentali dell’autismo fornisce al bambino – e al resto della famiglia – diversi vantaggi importanti, difficilmente ottenibili se si inizia un intervento in età scolare. È inoltre importante che l’intervento risulti trasversale a tutte le aree dello sviluppo del bambino (cognitive, sociali, accademiche, socio-relazionali, autonomie) e sia comprensivo, nel senso che coinvolga tutte le diverse figure che a vario titolo s occupano dell’individuo (genitori, insegnanti, etc), mediante la formazione specifica delle singole agenzie educative.
Sinteticamente è possibile concludere che un buon punto di partenza quando si vuole favorire una migliore gestione della persona con Autismo lungo l’arco di tutta la vita è rappresentato da una pianificazione adeguata dei servizi che devono condurre all’attivazione di un progetto di Vita che dovrebbe prevedere:
- la definizione di modelli di presa in carico precoce della persona autistica e della sua famiglia;
- la definizione di modelli e modalità di intervento stabiliti per età e gravità del disturbo;
- la definizione di obiettivi prioritari per età e gravità del disturbo;
- la definizione e l’organizzazione dei servizi;
- la selezione e la formazione del personale da prevedere per l’adeguato funzionamento.
Soltanto a questo punto e date queste condizioni di partenza (Diagnosi Nosografica e Funzionale, presa in carico Precoce, Intensiva, Trasversale e Comprensiva, long-life perspective) è possibile parlare di trattamento e/o di trattamenti. Questi rappresentano gli strumenti che è possibile utilizzare per modificare i comportamenti dell’individuo e aumentarne la qualità della vita, potenziando i comportamenti positivi e riducendo i comportamenti disadattivi/problematici/atipici. In questo settore, purtroppo, si fa molta confusione e questa è causata in larghissima parte dal fatto che vi è una frammentarietà degli studi sull’efficacia dei diversi modelli di intervento sperimentati, legati sia alla complessità dei modelli da verificare sia alla difficoltà di condurre studi controllati e di buon disegno metodologico su adeguati campioni di popolazione. In ogni caso i dati sperimentali, seppur ancora parziali, consentono di guardare con attenzione al tipo di trattamento da utilizzare. Tenendo sempre ben salda la consapevolezza che nessun trattamento rappresenta la panacea risolutiva e miracolosa per i deficit dell’individuo con autismo, oggi siamo in grado di discriminare tra gli interventi per i quali esistono studi di efficacia tra quelli che si possono raccomandare e quelli che sono sicuramente da evitare. Di seguito saranno trattati quelli attualmente più studiati e attualmente in uso, con la relativa efficacia scientifica, in termini di migloramenti a breve e medio termine.
Tipi di trattamento
Sono disponibili molti tipi differenti di trattamento. Le Linee Guida per il trattamento di diversi Paesi sono concordi nel ritenere alcuni di essi efficaci o meno. Tra questi annoveriamo le nostre Linee Guida n.21 dell’ISS e le Linee Guida NICE, 2013 che identificano i trattamenti attualmente disponibili. Tali trattamenti possono essere generalmente suddivisi nelle seguenti categorie:
Approcci Scientifici (trattamenti che si raccomandano sulla base di una efficacia dimostrata attraverso lavori basati su un approccio metodologico e statistico rigoroso).
Approcci Pseudo-scientifici (cioè che vengono utilizzati e considerati efficaci pur basandosi su studi che si fondano su un approccio metodologico e statistico non rigoroso e per questo di dubbia significatività).
.Approcci non-scientifici (cioè che non sono raccomandati, anzi sconsigliati perché si è dimostrata l’inefficacia e in alcuni casi la pericolosità).